Birra non birra al ristorante: la birra questa sconosciuta.



L'abbazia di Rochefort dove si produce l'omonima birra trappista.
Si può abbinare del Roquefort ad una Rochefort? Perché no?


Vorrei parlare di birra. Argomento quasi tabù nel mondo dei Sommelier. Tu dici che ti piace la birra ai tuoi colleghi di corso e sei visto come un alieno. Qualcosa di strano. Noi siamo Sommelier e beviamo solo vino. Vuoi mettere l'uva con l'orzo. Ma sei scemo? Eppure credo che un sommelier non debba saper soltanto di vino, ma anche di birra (e non solo). L'abbinamento cibo-birra è interessante non meno di quello vino-cibo. E in talune occasioni è anche caldeggiabile (ad esempio è caldeggiabile col caldo (in estate), se mi si consente un infantile gioco di parole.

Se il vino è uno sconosciuto a tavola, che dire della birra?
Alzi la mano chi conosce gli stili birrari. Già l'espressione "stile" e non "tipo" di birra ha un significato. Qui non si sta parlando di vino, non si sta parlando di un vitigno, piuttosto che di un altro, ma si sta parlando di come si arriva al prodotto birra. Ci si arriva in vari modi e su internet si trovano spiegati in modo migliore di quanto potrei farlo io su queste pagine, che ricordiamo, non sono state fatte per insegnare a nessuno, ma per stuzzicare la curiosità.

Nel contesto dunque dell'ignoranza birraria, capitava che anni fa, quando le birre timidamente si affacciavano nei menu italiani, si trovasse in qualche ristorante o osteria un po' più "illuminata" anche qualche birra diversa dalla solita familiare di Peroni ghiacciata, o al morettone e alla Ceres (per chi voleva fare il gradasso e bere cose più alcoliche per poi magari fare un po' l'uomo realizzato di 19 anni con gli amici facendo pipì dalla finestra del ristorante).

Ecco quindi che in un'osteria (di cui non faccio il nome nemmeno sotto tortura, dirò solo che si trova nella fascia compresa tra il 40 esimo e il 50 esimo parallelo nord), sfogliando il menu, ci trovavamo alfine nella possibilità di prendere una kwak o una triple karmeliet. Va da sé che queste due birre spesso vanno a braccetto perché importate dallo stesso gruppo. Ma al di là di questo, in quelle tre volte che ho cenato lì e ho chiesto indistintamente informazioni sull'una o sull'altra birra, mi si presentasse ogni volta la stessa cameriera, formata e preposta per dare delucidazioni. Costei ogni volta mi faceva, giuro, questa spiegazione: "ehhhh queste sono birre particolari, sono birre non birre". "Sono birre, non birre, sono un po' come il vino". E non c'era alcuna spiegazione in più. Nessuna menzione sul fatto che si trattasse di birre ad alta fermentazione, che avessero determinati gradi e che fossero la punta dell'iceberg di un mondo birrario così variegato, stupendo e lontano da quello italico, e che meritava di tuffarcisi a capofitto.

Le mie birre preferite. Le Trappiste.
Lo sapete che vuol dire? Se c'ho voglia ve lo spiego un'altra volta perché sennò poi mi dicono che faccio gli articoli troppo lunghi e risulto noioso.


E pensare che sulla birra del cocchiere, volendo ci sarebbe quel simpatico aneddoto da raccontare. Una delle birre più buone e più famose. Una birra che porta con sé la storia di quando un editto Napoleonico, per evitare che i conduttori di carrozze abbandonassero i mezzi per andare a bere, obbligò che i recipienti avessero la base sferica, cosicché non li si potessero lasciare appoggiati. Allora fu inventato questo splendido bicchiere con questa forma che consentiva al cocchiere di mettere il bicchiere agganciato ad un apposito gancio approntato sulla carrozza. Stupendo racconto, quasi come stupenda è questa birra che quando la bevi rischi di bagnarti tutto il viso per la complessità della forma del bicchiere. E quello è solo l'inizio di un viaggio che una kwak può farti fare sia sul momento, per il sapore e l'aroma speziato e caramellato, la spuma gustosa. Ma anche perché in quegli anni, era l'inizio di una scoperta. La scoperta di un mondo brassicolo tutto nuovo e così distante dalla classica birretta industriale di cui ero abituato. Insomma c'era di che raccontarne, era l'occasione per aprire un mondo. Un mondo diverso, fatto di Monasteri e pratiche produttive artigianali tramandate da secoli. Un mondo veramente entusiasmante per chi, come me, ama la storia, il medioevo, i misteri, e tutto quello che ci riporta all'antropologia umana. Questi monasteri i cui monaci facevano dei veri nettari, magari di 3 o 4 qualità diverse a seconda che a bussare la porta fosse un povero avventore (d'altronde mica si può non dare da bere ad un assetato anche se è un povero diavolo) oppure una persona importante. Ovviamente i più importanti erano loro stessi, e per sé si tenevano il meglio.

Cavolo quella sera a cena all'osteria poteva veramente aprirsi un panorama sterminato. E invece no.

Ecco, sì, mi pare più giusto descriverla come birra non birra. Quasi un po' come il vino.

Lo sapete che cosa fa un cocchiere con una Kwak in mano?
La beve.

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